Giorgia Meloni si ritrova in un contesto dove il nuovo Patto di Stabilità non può essere rispettato, quindi la premier non potrà mantenere le promesse. Ecco perchè!
L’attuale contesto economico-finanziario italiano presenta numerose sfide per il governo guidato da Giorgia Meloni, in particolare in relazione al mantenimento delle promesse elettorali, soprattutto per quanto riguarda il taglio delle tasse. La combinazione di nuove regole fiscali europee, il peso dei crediti derivanti da incentivi come il Superbonus e i bonus edilizi, e l’incertezza generale rendono il percorso verso un bilancio equilibrato particolarmente arduo.
Il Documento di Economia e Finanza (DEF) “a metà”, presentato senza obiettivi programmatici dettagliati, mette in luce le difficoltà iniziali nel quadro del nuovo Patto di Stabilità. La situazione è complicata dall’impatto finanziario dei bonus edilizi, che ha raggiunto la cifra considerevole di 219 miliardi di euro, una “massa” che inevitabilmente peserà sul debito pubblico italiano nei prossimi anni.
La riforma del Patto di Stabilità prevede che ogni Stato membro concordi con la Commissione Europea un piano pluriennale personalizzato per aderire ai parametri di deficit e debito. L’Italia, con un rapporto debito/PIL al 137,8% e un deficit confermato al 4,3%, dovrà navigare con attenzione in queste acque turbolente, cercando allo stesso tempo di onorare gli impegni presi con i cittadini.
Oltre alla necessità di compensare i crediti derivanti dai bonus edilizi, che ammontano a oltre 161 miliardi di euro mancanti all’appello, il governo dovrà affrontare la procedura di infrazione per deficit eccessivo, che impone ulteriori restrizioni finanziarie. Questo scenario richiede un’attenta pianificazione e potrebbe costringere a scelte difficili tra diversi settori di spesa pubblica, compresi quelli cruciali come pensioni, sanità e istruzione.
Inoltre, l’adeguamento ai criteri delle nuove norme fiscali europee richiederà all’Italia un “percorso correttivo della spesa”, con un aggiustamento annuo minimo dello 0,5% del PIL. Questo implica tagli alle spese dell’ordine di circa 9 miliardi all’anno, un vincolo non indifferente che potrebbe influenzare la capacità del governo di mantenere promesse significative come il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento delle aliquote Irpef.
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