Alcuni contribuenti potrebbero incorrere nel rischio di dover restituire la pensione di reversibilità. L’Inps, infatti, sta effettuando alcuni controlli incrociati per verificare la situazione reddituale di alcuni pensionati. Ecco quali sono le categorie interessate.
Verifiche Inps sulle pensioni di reversibilità: le categorie interessate
L’Istituto di Previdenza Sociale sta lavorando per verificare i redditi percepiti da alcuni pensionati negli anni 2019 e 2020, con particolare attenzione agli assegni di reversibilità per l’anno 2020. Qualora dovesse rilevare che gli importi hanno superato le soglie stabilite, procederà con la decurtazione di una parte dell’assegno di reversibilità per compensazione. Tale operazione potrebbe interessare fino al 50% dell’importo intero, portandolo, quindi, alla metà del suo valore effettivo. È giusto ricordare che suddetti controlli non rientrano nelle operazioni straordinarie, ma vengono effettuati in modo ciclico. L’Inps, così facendo, si assicura di versare la pensione di reversibilità a chi ne ha realmente diritto.
I controlli incrociati riguarderanno i dati reddituali dei pensionati che hanno lavorato nel servizio pubblico, ovvero gli ex INPDAP. Chi di loro risulterà debitore, dovrà restituire le somme ingiustamente ricevute, rateizzando l’importo totale per un massimo di 5 anni, ovvero 60 mesi. Molti contribuenti hanno cominciato a dilazionare la somma dovuta già dal mese di Agosto 2023 dopo l’avviso dell’Inps. L’attuale normativa pone a rischio restituzione chi percepisce una pensione di reversibilità con redditi aggiuntivi. In questo caso, l’assegno diminuirà in modo proporzionale. Il taglio potrà variare dal 25 al 50% in base alla valutazione del rapporto tra gli altri redditi e il trattamento minimo annuo del fondo pensione lavoratori dipendenti. La legge, però, stabilisce che la decurtazione non può superare l’importo totale dei redditi aggiuntivi.
Pensione di reversibilità: a chi spetta?
La pensione di reversibilità è un trattamento previdenziale destinato ai parenti prossimi di un lavoratore defunto. Esistono due tipi di pensione di reversibilità: quella indiretta, se al momento del decesso il soggetto era già titolare di pensione e quella indiretta. Si parla di pensione indiretta quando il defunto non ha ancora maturato i requisiti necessari per percepire il trattamento. La pensione indiretta può essere percepita dai familiari del lavoratore defunto se questo aveva maturato 15 anni di anzianità contributiva e assicurativa o 5 anni di cui almeno tre nel quinquennio precedente alla data della morte.
Per quanto riguarda gli importi relativi alla pensione di reversibilità, questi prevedono percentuali diverse a seconda dei componenti del nucleo familiare del lavoratore deceduto. Si parla del 60% se l’unico superstite è il coniuge. Si passa all’80% se il nucleo familiare è composto dal coniuge e da un figlio, mentre il 100% spetta alle famiglie composte da due o più figli oltre al coniuge. In mancanza del coniuge l’importo si riduce al 70% per i figli unici, all’80% in caso di due figli e al 100% qualora i figli siano tre.
Per quanto riguarda genitori, fratelli e sorelle le percentuali possono variare dal 30 al 15%, in base al numero dei discendenti. I pensionati che hanno percepito somme indebite potrebbero, quindi, andare incontro a sgradevoli conseguenze come la restituzione degli importi. Un bella stangata vero? A voi i
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