Lo scontro tra Sigfrido Ranucci e Italo Bocchino accende il dibattito sulla libertà di stampa: accuse, minacce legali e il futuro del giornalismo d’inchiesta in Rai.
Scontro infuocato tra Ranucci e Bocchino: il giornalismo d’inchiesta finisce nel mirino
Un botta e risposta dai toni sempre più accesi, un mix esplosivo di accuse personali, schermaglie politiche e dichiarazioni pungenti che ormai travalicano i confini della televisione per spostarsi sui binari roventi del confronto istituzionale. Il protagonista? Il noto giornalista d’inchiesta Sigfrido Ranucci, volto storico di Report, che si è scagliato contro la nuova circolare della Rai sulla tracciabilità dei materiali video, provocando una replica tagliente da parte del direttore Italo Bocchino. Ma dietro le parole si intravedono tensioni ben più profonde: in gioco c’è la libertà di fare giornalismo senza filtri e senza condizionamenti.
Un’accusa che scotta: Ranucci si sente sotto attacco
La miccia si è accesa durante un’intervista telefonica a Piazza Pulita, il talk di approfondimento politico condotto da Corrado Formigli su La7. In diretta, Ranucci non ha usato mezzi termini, denunciando apertamente il clima di sospetto che aleggia attorno al suo lavoro. Si è detto amareggiato per essere stato definito “manipolatore” proprio da Bocchino, che in passato aveva mostrato un atteggiamento amichevole nei suoi confronti. Eppure, quella stretta di mano virtuale non è bastata a smorzare i toni.
Secondo Ranucci, l’obbligo di tracciabilità introdotto dalla Rai rappresenta un modo subdolo per limitare la libertà d’inchiesta e scoraggiare chi cerca la verità attraverso documentazione e testimonianze. A suo dire, nessuno al governo si presta a farsi intervistare, eppure è proprio l’esecutivo che accusa Report di manipolazioni. Una contraddizione che, afferma, non può essere ignorata.
Bocchino replica: “Ossessionati dalla destra”
Dall’altra parte, Italo Bocchino ha cercato di mantenere un tono più distaccato, ribadendo la sua stima personale per Ranucci ma non risparmiando critiche feroci. Secondo lui, le inchieste realizzate da Report si concentrerebbero in modo eccessivo su Giorgia Meloni e sul centrodestra, mostrando – a suo dire – un’ossessione che danneggia la credibilità del programma.
Il direttore ha inoltre minimizzato l’allarme lanciato dal giornalista, sostenendo che condividere le fonti con il proprio editore non dovrebbe essere visto come un attentato alla libertà di stampa. Un’opinione che ha provocato non poche risate in studio, ma anche una reazione stizzita da parte del conduttore Corrado Formigli, il quale ha accusato il governo di voler mettere le mani sulle inchieste giornalistiche della Rai, dato che l’esecutivo controlla i principali TG del servizio pubblico.
In questo clima di sospetti e recriminazioni, la questione rischia di finire davvero in tribunale. Ranucci ha più volte ribadito la sua intenzione di difendere l’onorabilità della sua trasmissione nelle sedi opportune, denunciando un attacco frontale al giornalismo libero e indipendente.
Un confronto che va oltre la TV
Il duello a distanza tra Ranucci e Bocchino non è solo una querelle televisiva: rappresenta lo specchio di un paese in cui il rapporto tra potere e informazione diventa sempre più complicato e fragile. La circolare Rai sulla tracciabilità potrebbe essere vista come uno strumento di controllo, oppure come una misura di trasparenza. Ma una cosa è certa: il dibattito acceso che ne è nato merita attenzione.
Il punto centrale resta la fiducia. Fiducia nei confronti dei giornalisti che ogni giorno si espongono per raccontare fatti scomodi, ma anche fiducia nelle istituzioni, affinché non trasformino strumenti tecnici in mezzi di censura. Perché quando il confine tra garanzia e controllo si fa troppo sottile, la democrazia inizia a scricchiolare.
E tu da che parte stai? Il giornalismo d’inchiesta va protetto o regolamentato?