Avanzamento nel caso Saman Abbas: il giudice di Islamabad favorisce l’estradizione del padre, Shabbar. Attesa per la decisione finale dal Pakistan.
Nelle ultime ore a Reggio Emilia, un importante sviluppo nel caso dell’omicidio di Saman Abbas, la ragazza di 18 anni tragicamente deceduta a Novellara nel 2021. Il magistrato della Corte distrettuale di Islamabad, nel corso dell’udienza odierna, ha espresso un parere favorevole all’estradizione di Shabbar Abbas, accusato insieme ad altri quattro familiari dell’omicidio di Saman.
Shabbar Abbas, attualmente detenuto nel carcere di Adyala, potrà impugnare il documento di fronte all’Alta Corte di Islamabad. La decisione finale sulla richiesta di estradizione dell’Italia è attesa dal Ministro della Giustizia pakistano. Sebbene non esistano accordi di estradizione tra Italia e Pakistan, il giudice ha espresso un parere favorevole a tale richiesta, respingendo l’ulteriore istanza di rilascio su cauzione della difesa.
In attesa della decisione finale, Shabbar Abbas resterà a disposizione delle autorità italiane per un collegamento in videoconferenza con Reggio Emilia il 14 luglio, quando si riprenderà il dibattimento.
Shabbar Abbas è sotto processo a Reggio Emilia per l’omicidio della figlia, insieme alla moglie Nazia (ancora latitante), allo zio Danish Hasnain e ai due cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq. Nonostante Abbas neghi il proprio coinvolgimento, l’assistente sociale che segue il fratello di Saman ha riferito di pressioni da parte dei genitori per convincerlo a ritrattare le dichiarazioni fornite agli inquirenti.
L’udienza ha inoltre approfondito l’aspetto della fuga dello zio Danish Hasnain in Francia subito dopo l’omicidio, quando fu fermato a Ventimiglia e portato in una struttura protetta essendo minorenne. L’assistente ha rivelato che Hasnain aveva promesso al giovane festeggiamenti post-Ramadan.
Inoltre, è stato ascoltato un carabiniere del Ris che ha parlato dell’importante scoperta nel casolare dove è stato ritrovato il corpo di Saman, affermando che scavare a quella profondità richiedeva “un lavoro fisico consistente e capacità tecniche”, sostenendo quindi la tesi dell’accusa secondo cui lo zio e i due cugini, lavoratori agricoli, avrebbero avuto la capacità di scavare quella buca.